Servizio Speciale
La gondola di Venezia
Parte terza
Il patriarca, facendo affidamento sui suoi risparmi, affidò a una ditta i lavori di ristrutturazione. Ma con un milione e mezzo - a tanto ammontava il conto personale - non si andò oltre il cortile interno. Il ben noto distacco dal denaro di Angelo Roncalli poggiava su una serena fiducia nella Provvidenza, che mai lo lasciò in grosse difficoltà. In quella circostanza il provvidenziale aiuto arrivò per mano del conte Cini, che durante una visita al patriarca si sentì dire: «vede dove sono finiti tutti i miei risparmi» e gli indicò il cortile interno del palazzo. Il conte fece proseguire i lavori a proprie spese.
La stessa amabilità e semplicità del tratto, che tanto piacque ai francesi negli anni in cui svolse la missione diplomatica a Parigi, gli conquistò l’affetto dei veneziani. Sapeva rendere semplici anche le grandi verità perché fossero accessibili a tutti, piccoli e grandi. Ammirava don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo nel mantovano, censurato per le sue critiche verso le compromissioni della Chiesa con il potere politico. Si incontrarono a Venezia e nacque fra loro un’amicizia che andava oltre alcune discordanze nel modo di intendere l’impegno sociale del sacerdote. Inviandogli copia della lettera pastorale, nella quaresima del 1955, Roncalli esprimeva così la sua ammirazione per l’amico scrittore: «Piccole cose da Curato d’Ars, piuttosto che da Lacordaire, come certi begli articoli del prevosto Mazzolari, per esempio l’ultimo: vedere con bontà. Il Signore lo benedica. Vorrei potermi avvolgere in quelle due pagine del piccolo quaresimale come, e meglio, che non nel mio mantello. Lì veramente trovo qualcosa di me stesso in piena conformità di pensiero e di sentimento».
Roncalli non nascose la sua ammirazione nei confronti di questo prete evangelico, che durante un incontro in Vaticano definirà «tromba dello Spirito Santo in terra mantovana», ignorando forse di proposito i provvedimenti presi a suo riguardo dal Sant’Offizio.
Rispettoso della tradizione e del lavoro delle varie Congregazioni romane, sapeva superare con discrezione, senza imposizioni di autorità, in nome della carità, i rigidi schemi della disciplina ecclesiastica.
Discrezione e carità usò nei riguardi del contestatissimo don Milani, il prete di Barbiana, autore di Esperienze Pastorali, un libro stroncato dalle dure critiche di Civiltà Cattolica, nonostante l’imprimatur del card. Elia Dalla Costa e la prefazione dell’arcivescovo D’Avack. Pur attenendosi alle direttive già prese in precedenza a carico di don Milani, papa Roncalli gli fece pervenire parole di paterno affetto, e una rara medicina introvabile nelle farmacie italiane nel corso della dolorosa malattia che lo colpì, e un aiuto in denaro. Don Milani morì nel 1967. Sei anni dopo apparve sull’Osservatore Romano una recensione delle lettere alla mamma, l’opera postuma del priore di Barbiana e vi si leggevano, fra l’altro, valutazioni diametralmente opposte: « Che bel ritratto di prete del nostro tempo viene fuori da queste lettere». Rimane dunque sempre attuale il verso leopardiano: «Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta ».
Tanto negli scritti di Mazzolari quanto in quelli di don Milani il card. Roncalli avvertiva un tormento di fondo che rendeva il loro cristianesimo troppo complicato e di difficile comprensione. «Il Vangelo», disse Roncalli riferendosi in particolare a Mazzolari, «non è un problema ma la soluzione dei nostri problemi di questa e dell’altra vita». Lui, di animo semplice, alieno da pessimistiche interpretazioni dei « non detto», non capiva insomma perché trovassero il Vangelo tanto irto di interrogativi drammatici.
Dopo l’incontro in Vaticano, che taluni avevano cercato di impedire e che fu l’estrema consolazione dell’anziano parroco, don Mazzolari annota sul suo taccuino: «A volte, vedendo andar male certe cose, verrebbe voglia di fare un passo. Ma il papa ha i suoi limiti e in certi casi non può che pregare e soffrire».

Torna al Sommario del Servizio Speciale