Attualità

Un prete si confessa

Don Baget Bozzo

Testo di Jenny Vestri Boncori

Foto di Sergio Pessot

parte terza

Guardiamo al mondo. È cominciato un nuovo millennio, ma la guerra, la povertà, le malattie che affliggono l’umanità sembrano non aver affatto fine. Con quali prospettive affrontiamo tutto questo?
"Credo che affrontiamo il futuro con un grande vantaggio: la fine del totalitarismo. E questo non può essere che un fattore positivo perché il nazismo è nato contro il comunismo e quindi ne è una copia.
Il patrocinio dell’impero americano è un bene e non un male; è un bene che il monopolio della forza ce l’abbia un Paese democratico anziché uno totalitario. La tecnologia unifica il mondo, la ricchezza che produciamo è enorme e pone l’umanità ad un livello di vita che non ha precedenti.
Non ci sono Paesi che non abbiano attinto al progresso tecnologico. E l’America ha tutto l’interesse a conservare questo stato di cose, alla fin fine sarà lei a garantire un mondo senza conflitti".

Ma i conflitti ci sono e la povertà è ancora un fatto di molti.
"La libertà economica e lo sviluppo che hanno investito il mondo ha escluso certe zone dell’Africa, in cui il problema più grave è 1’Aids. In Cina e in India c’è invece una forte ripresa anche se, con l’enorme massa di abitanti, è impensabile che lo sviluppo possa estendersi a tutta la popolazione".

E il debito pubblico che si vuole estinguere ai Paesi poveri? Sarà sufficiente per ridare loro una prospettiva di vita più dignitosa?
"Altro che debito pubblico! Ciò che bisogna fare con urgenza è salvare gli africani dall’Aids anche perché sono i giovani a morire.
La fascia di età più colpita è quella che va dai 16 ai 50 anni e questo vuole dire lasciare un Paese senza forza lavoro, senza alcuna possibilità di ripresa. Il problema africano è l’Aids e questa storia del debito pubblico è un grande slogan e basta.
I Paesi ricchi per aiutare l’Africa devono mandare equipe mediche, anche armate perché lì, non dimentichiamo, c’è la guerra. Quando si dice che ci sono i poveri... Se non ci fossero i ricchi, mi chiedo, come potremmo risolvere il problema dei poveri?".

Perché la pace è così difficile? Con la caduta dell’Urss, qual è il nuovo significato di “equilibrio”? E non siamo tutti pericolosamente convinti che le guerre possano essere controllate dall’intelligenza e dalla politica?
"La pace non è mai esistita nel mondo. Oggi, cessata la guerra fredda, abbiamo un relativo periodo di pace. A parte la Cecenia, l’unica tensione che può avere conseguenze atomiche è quella con l’Iraq. Per il resto abbiamo tutte le condizioni per la pace, perché c’è l’impero americano e non esiste pace senza un’egemonia imperiale.
Quando nostro Signore nacque c’era la pace Augustea data dall’egemonia dell’impero romano: in quel periodo si poteva attraversare tutto il Mediterraneo, da Oriente a Occidente, senza rischi. Neanche oggi è possibile, basti pensare ad Ustica. Era un’egemonia mondiale a garantire la pace mondiale.
Oggi il ruolo spetta all’America: il libero commercio è la cultura con cui l’America si fonde ed è quindi interessata a mantenere quest’ordine in questa forma. Prima c’era l’equilibrio atomico: una pace retta dalla relativa parità nucleare di due forze.
Quella era la nostra pace! Si rischiava ogni momento la guerra e sono convinto che se la Russia avesse avuto forza vitale, in guerra ci saremmo presto o tardi finiti.
Anche adesso, con la Russia in queste condizioni siamo riusciti a controllare l’equilibrio nucleare. In questo senso ne siamo usciti bene".


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