Lasciati accarezzare! |
||||||||||||||
|
||||||||||||||
|
||||||||||||||
Molte volte nascondono una tacita ed implicita minaccia (ti apprezzo per il bel voto, ma ti stimerò meno se prenderai un'insufficienza) o incentivano a continuare o a migliorare un dato comportamento (ti prego continua a studiare con profitto). Vengono usate ampiamente nelle relazioni sociali e in quelle professionali e come sistema educativo-pedagogico. Meno potenti di quelle incondizionate, sono comunque oggetto di desiderio e di ardente aspettativa. Ma le carezze psicologiche non sono soltanto positive. Un'altra categoria, anche se meno ambita e meno appagante, è quella delle carezze negative. Anche queste ultime le possiamo dividere in: carezze negative incondizionate e condizionate. Il rimprovero di un padre al figlio, un insulto, un castigo o un rifiuto, oppure parole pronunciate con voce irata, sono carezze negative.
-Ti odio. -Cosa me ne faccio di una figlia come te? -Sei un bugiardo. -No. Tu no! Queste carezze incondizionate provocano dolore, tristezza, depressione, sentimenti di sconforto; fanno vacillare la stima di sé, generano un senso di vuoto e inquinano la gioia di vivere. Un po' meno dolorose sono quelle condizionate. -Non apprezzo la tua ironia. -Ti detesto per il tuo egoismo. -Ti trovo sciupato. Non stai bene? -Come cuoca sei un disastro! Ma perché chiamiamo carezze anche le critiche, i rimproveri e i giudizi negativi se ci fanno star male? È semplice: perché malgrado tutto sono pur sempre dei segni di riconoscimento dei quali abbiamo bisogno come dell'aria che respiriamo. È preferibile ricevere degli insulti piuttosto che essere completamente ignorati. Anche queste carezze poi hanno un valore educativo. Dal giudizio sfavorevole degli altri, possiamo trarre motivi di riflessione e regolarci di conseguenza, modificare i nostri comportamenti sbagliati ed escogitare strategie sociali più opportune. Che le carezze positive siano oggetto di desiderio è facilmente comprensibile, anzi è addirittura ovvio. Più difficile è comprendere la validità dellealtre, chi ne fa uso ed abuso, quando e perché. Vediamo alcuni casi, frutto della mia esperienza professionale. Una ragazza adolescente viveva con una madre inaffettiva e distratta e con un patrigno che si disinteressava di lei. Non aveva amici, perché molto timida. Per sua sfortuna era anche assai poco attraente; inoltre aveva poca libertà, dovendo accudire la nonna totalmente paralizzata e occuparsi di tutte le faccende di casa. Nessuno le mostrava gratitudine per la buona volontà e l'impegno con cui sbrigava le mille incombenze giornaliere e nessuno le offriva una parola buona e un poco d'affetto. Così prese a commettere apposta degli sbagli, a far cadere a terra e rompere degli oggetti, a fingere di star male proprio quando gli altri avevano più bisogno di lei. |
||||||||||||||
|
||||||||||||||
![]() |
![]() |
![]() |
||||||||||||
|