Da parte mia, non volendo rassegnarmi al sacrificio di tante vite umane, ho cominciato a intravedere ne I Promessi Sposi di Manzoni un antidoto alla tendenza assassina di una parte di quello che ormai consideravo il mio popolo.
Lorrore, che il romanziere sente e trasfonde nei lettori, per tutto quanto causa la sofferenza e la morte di individui e di collettività, lanalisi della disumanità dei tre omicidi, che poi si sono pentiti, Ludovico, Geltrude e lInnominato, potrebbe provocare una crisi, una volontà di imitarne lespiazione, una metanoia. Era unipotesi. Ma come averne la conferma?
La propaganda del libro sarebbe stata inutile, dato che esso, peraltro mal tradotto, avrebbe raggiunto pochi lettori e certamente non quelli che ne avevano più bisogno, i senza cultura, i senza morale, gli omicidi reali o potenziali. Io avevo bisogno di lettori-cobaie, che potevo trovare quasi solo nelle carceri. Lì avrei visto se il romanzo impressionava e trasformava gli assassini e gli altri malfattori. Perciò, mentre davo lezioni su I Promessi Sposi o su altri argomenti nelle università, come una specie di visiting professor cercavo di introdurmi nelle prigioni locali.
Quando ho insegnato nellUniversità Cattolica di Campinas sono entrato, episodicamente, nel carcere di Indaiatuba. Durante le lezioni nellUniversità di Florianopolis e nella FURB di Blumenau, ho dato un corso nel penitenziario di Florianopolis. Nellanno di insegnamento nella FAPA (Faculdade Portalegrense) ne ho dato un altro nel penitenziario di Jacuì, a non molti chilometri da Porto Alegre. Solo nellanno della mia docenza nellUniversità di San Paolo non ho avuto tempo per entrare nelle carceri.
Non voglio omettere che il primo giorno che sono entrato nella PUC di Campinas uno dei due giornali di maggior diffusione nella città ha pubblicato un reportage del titolo a tutta pagina: O artigo mais barato: a vida humana (Larticolo che costa meno: la vita umana). Era unalta documentazione di quello che io intuivo e che volevo bloccare, o almeno attenuare, non soltanto per mezzo dellattività universitaria.
Tornando ai carcerati, la condizione perché essi partecipassero al mio corso era che sapessero leggere con una certa facilità, perché non volevo raccontare una bella storia, ma metterli in contatto col testo di Manzoni. Non accettavo alunni analfabeti.
Fatto sta che fin dalle prime lezioni le vicende di Renzo e Lucia, vittime dellingiustizia, come gli stessi detenuti credevano di essere, lumorismo e tutte le riflessioni, chiare o sottintese del romanziere, piacevano agli alunni. Li avvinceva la storia, in alcuni punti parallela alla loro, del torto che provoca nel promesso sposo la tentazione dellomicidio, la sua rabbia contro gli avvocati e contro la giustizia ufficiale, le beffe, da parte sua e dei compagni di osteria, dei signori, delle strutture sociali, la caduta di Renzo nelle mani della polizia, la sua fuga.
Ricordo lo scoppio di gioia di uno degli alunni di Florianopolis: «Mi manca la libertà, mi mancano i soldi, mi manca la famiglia, mi manca la casa, eppure stasera sono felice».
Terminato quel corso, il direttore, che aveva assistito ad alcune lezioni e osservato il comportamento dei miei alunni, ha rilasciato un attestato.
Lanno seguente è stata la volta di Jacuì. Sono stato accolto con diffidenza, anche perché poche settimane prima cera stata una ribellione, che era stata domata, ma che aveva lasciato carcerati e carcerieri a odiarsi.
Qui, come nelle altre carceri, gli alunni erano ladri, sequestratori, assassini. Uno, Ben-Hur Mello, mi rimane indimenticabile. Pluriomicida, condannato a 39 anni e sei mesi di reclusione per rapine seguite da omicidi e per aver cercato di strangolare un compagno di cella, era già fuggito due volte dal penitenziario e aveva tentato una terza fuga. Aveva lo sguardo feroce della belva in gabbia.
Vi si leggeva lodio contro tutto e tutti. In un compito aveva scritto, come una delle frasi più importanti: Ah, mundo infame!. Pareva che egli meditasse un nuovo delitto, che stesse per commetterlo di lì a un quarto dora. Mi sentivo male tutte le volte che lo vedevo. E i suoi compagni non erano molto differenti da lui.
Eppure, nel compito dopo i capitoli su Ludovico-padre Cristoforo, Ben-Hur ha scritto: Leggendo, ho vissuto il personaggio Ludovico.
Ho sentito profondamente il dramma e il dolore che provò. Un altro detenuto, Enio Andrade, ladro e assassino, definito dalla direzione pericolosissimo, ha scritto: Fra Cristoforo è un uomo meraviglioso. Lo ammiro molto. Cirineu Costa, anchegli ladro e assassino pericolosissimo, ha scritto: Tutto quello che posso dire è che vorrei avere il coraggio di essere uguale a lui.