Giubileo e carcerati
Ammazza tu che ti sbudello anch'io!
di Spartaco Francesco Ciccotti
foto Alberto Marinetti
BRASILE 500 anni dalla scoperta Parte quinta
Amarezza e paura

Ecco, grosso modo, qualche aspetto della situazione criminale del Brasile. A sentirla ripetere ci si può perfino fare il callo, come li si fa alle statistiche sui malati e sui morti per cancro, infarto cardiaco o cerebrale, AIDS.
Stiamo diventando lettori e ascoltatori “senza indignazione”, dice il Rapporto USP. Però lo stillicidio dei mass media che informano su alcuni dei 24 omicidi quotidiani, uno per ora, nella Grande San Paolo, fa paura e, quando si riflette con calma, amareggia.
Non si apre un giornale senza leggere che nella città in cui abitiamo, in una delle strade che abbiamo percorso, è stato ucciso al semaforo l’ingegnere A, quando arrivava a casa la dottoressa B, nel suo studio l’avvocatessa C, in fabbrica l’imprenditrice D, nel garage il banchiere E, nel cantiere l’industriale F, all’uscita dalla scuola la professoressa G, mentre giocava lo studente H, in una rissa l’agricoltore I, mentre viaggiava la coppia L.
Oppure che il marito M ha ucciso o fatto uccidere la moglie N o viceversa, che è stata sequestrata e poi uccisa la figlia del commerciante O, che l’operaio Q di Rio de Janeiro è morto in piazza o addirittura in una stanza della sua casa, raggiunto involontariamente da una pallottola sparata durante uno scontro fra poliziotti e banditi, o fra spacciatori nemici rintanati in differenti favelas.
E la stampa informa che nel Paese ci sono 400 mila latitanti - 150 mila nella sola grande San Paolo.

Nella foto:ragazzi nelle carceri brasiliane.
Spiegare o giustificare?

Sin da quando ho messo piede in questo Paese, grande quanto un continente e che ormai è la mia seconda patria, la quale ha una magnifica storia e conta con una serie di realizzazioni invidiabili, di cui ho parlato in altri articoli, ho voluto spiegarmi il perché di questo fenomeno oscuro che, fra l’altro, mette a rischio anche una delle sue maggiori risorse economiche, il turismo, perché può scoraggiare il flusso di turisti alle sue spiagge, che sono fra le più belle del mondo. Del resto, nella riunione a Cartagena, la Banca Internazionale dello Sviluppo (BID) additava nella violenza “la barriera principale allo sviluppo economico dell’America Latina”. Essa succhia il 14,2% del PIB del continente: 168 bilioni di dollari, 84 dei quali sono perduti dal Brasile.
Scaricare la colpa della violenza semplicemente sulla povertà di un grande numero di brasiliani è semplificare il problema, perché i delitti sono commessi in tutte le classi sociali e perché la maggior parte degli europei e giapponesi sono vissuti per secoli in una povertà simile a quella dei poveri del Brasile, ma con tassi di omicidi notevolmente inferiori.
Alcuni pensano di poter spiegare il fenomeno brasiliano con la sua etnostoria. Qualche volta danno la colpa maggiore ai discendenti degli africani, qualche altra ai discendenti degli indios, che anticamente erano antropofagi.
Sono spiegazioni discutibili e discusse. Anzi, quest'anno, in occasione dei 500 anni della scoperta, si è tentata una rivalutazione degli antichi abitanti.
Il loro cannibalismo non era l’orrore che Hans Staden e altri europei descrivevano. Era un atto rituale. E Florestan Fernandes ha voluto dimostrare il valore positivo di quella che noi consideriamo la ferocia degli indios.

Nella foto: ragazzi nelle carceri brasiliane.

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