Ad ogni età il suo gioco
Servizio speciale
parte terza

 2 anni

Con l’inizio del secondo anno, stante il problema della separazione, si fa più insistente la ricerca del piacere di gettare lontano l’oggetto e di vederselo restituire dall’adulto. Ricorrendo a un simile gioco, il bambino mira all’elaborazione dell’ansia connessa ai fantasmi di unione e di separazione nei confronti della madre.
Freud (1920), a questo riguardo, ci ha fornito una documentazione esemplare nel saggio Al di là del principio del piacere. In esso viene analizzato il gioco del rocchetto di un bambino, il nipote Ernst di diciotto mesi, da cui emerge una sequenza di gesti, di emozioni e di parole, che rivelano un tentativo di rappresentazione simbolica della perdita e del ritrovamento della madre.
"Questo bravo bambino, scrive Freud, aveva l’abitudine — che talvolta disturbava le persone che lo circondavano — di scaraventare lontano da sé in un angolo della stanza, sotto un letto o altrove, tutti i piccoli oggetti di cui riusciva ad impadronirsi, talché cercare i suoi giocattoli e raccoglierli era talvolta un’impresa tutt’altro che facile.
Nel fare questo emetteva un “o-o-o” forte e prolungato, accompagnato da un’espressione di interesse e soddisfazione. Finalmente mi accorsi che questo era un gioco, e che il bambino usava tutti i suoi giocattoli solo per giocare a “gettarli via”. Un giorno feci un’osservazione che confermò la mia ipotesi. Il bambino aveva un rocchetto di legno intorno a cui era avvolto del filo.
Non gli venne mai in mente di tirarselo dietro per terra, per esempio, e di giocarci come se fosse una carrozza; tenendo il filo a cui era attaccato, gettava invece con grande abilità il rocchetto oltre la cortina del suo lettino in modo da farlo sparire pronunciando al tempo stesso il suo espressivo “o-o-o”; poi tirava nuovamente il rocchetto fuori dal letto e salutava la sua ricomparsa con un allegro “da” (qui).
Questo era dunque il gioco completo — sparizione e riapparizione — del quale era dato assistere di norma solo al primo atto, ripetuto instancabilmente come gioco a sé stante, anche se il piacere maggiore era legato indubbiamente al secondo atto".
Con questo gioco di allontanamento e di riavvicinamento del rocchetto, eseguito ripetutamente in occasione dell’assenza della madre, il bambino, osserva Freud, cercava di controllare magicamente le proprie angosce interne relative al processo di separazione.
In altre parole, cercava di rassicurarsi che la madre, anche se scompariva, non era perduta per sempre. In tal modo acquisiva la coscienza della permanenza degli oggetti. Inoltre il bambino, di fronte all’esperienza subita dell’assenza della madre, passando dalla passività all’attività, esercitava un controllo psichico sulle proprie emozioni penose.
Il gioco del rocchetto svolgeva dunque la funzione di controllo di un evento spiacevole: la separazione. Ma Freud ipotizza anche un’interpretazione diversa: "L’atto di gettare via l’oggetto, in modo da farlo sparire, potrebbe costituire il soddisfacimento di un impulso che il bambino ha represso nella vita reale, l’impulso di vendicarsi della madre che se n’è andata via, in questo caso avrebbe il senso di una sfida: “Benissimo, se tu non vuoi stare con me, vattene pure, non ho bisogno di te, sono io che ti mando via”".
In questo caso nel gioco del rocchetto si può intravedere una funzione aggressiva del bambino verso la madre a cui sembra dire: "Non sei tu che mi abbandoni, sono io che ti rifiuto. Io gioco e mi diverto anche senza di te". Un’aggressività che agli occhi della madre assume una funzione rassicurante, dal momento che scopre che suo figlio è cresciuto al punto tale da essere in grado di stare solo.
Più in generale, possiamo dire che il gioco del rocchetto rappresenta il tentativo del bambino di costruirsi un proprio mondo e allo stesso tempo di controllare il mondo esterno. Di fronte all’angoscia provocata dalla separazione e dalla solitudine, anziché restare isolato in un cantuccio, inventa un gioco da cui trae sollievo.
E da segnalare infine che nel secondo anno compaiono anche i giochi paralleli. Rispetto ai mesi precedenti, ora il bambino impara a giocare da solo, ma, allo stesso tempo, prova piacere farlo accanto ad altri bambini che giocano come lui. Successivamente, passa al gioco associativo. Gioca cioè con i suoi coetanei, ma senza una vera e propria organizzazione e spartizione di ruoli.
Un gioco analogo che, in questo periodo, il bambino ama fare e ripetere in continuazione è il gioco del cucù, dove con la scomparsa e la riapparizione del volto del genitore o di un volto
a lui familiare gli permette di rivivere allo stesso tempo sia l’angoscia dell’assenza dell’oggetto
d’amore che l’euforia e l’eccitazione del suo ritrovamento. Con questo gioco il bambino si rassicura che l’esperienza della separazione non comporta la perdita definitiva dell’oggetto.

3 anni

Verso il terzo anno emergono giochi che rivelano la dinamica edipica in atto. Sono giochi di tipo esibizionistico e competitivo. Freud (1920, p. 202), nel saggio Al di là del principio del piacere, evidenzia la connessione tra attività ludica e dinamica edipica, descrivendo il comportamento dello stesso bambino del gioco del rocchetto:
"Questo stesso bambino che avevo osservato a un anno e mezzo intento nel suo primo gioco, l’anno dopo, quando era in collera con un giocattolo, usava gettarlo per terra esclamando: “Va in guella”. A quel tempo gli avevano raccontato che il papà assente era in guerra; il bambino non sentiva affatto la mancanza del padre, anzi dava chiaramente a vedere che non desiderava essere disturbato nel proprio possesso esclusivo della madre".
In questo periodo inizia anche la socializzazione del gioco.
Compare l’interesse a giocare con qualche compagno. In particolare, compare il piacere di imitare il comportamento degli adulti, con la tendenza magari a indossare gli abiti del papà o della mamma.


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