I seriosi

( PADRI DEI COMPLICATORI? )

di Silvio Ceccato
parte seconda

Sarà, ma ripeto, la tesi è pericolosa perché confonde il fare con il prendersi. Un discorso è il lavorare, il pensare, persino il giocare seriamente, un altro prendere se stessi sul serio. Se nel primo "serio" infonderemo il massimo delle energie, della concentrazione, dell'impegno, ricavando quindi la gioia di chi si profonde in qualcosa, nel secondo ci troveremo in una situazione ritratta, un'attenzione che deve continuamente essere puntata sul soggetto. Guai a distrarsi quando ci si prende sul serio, o peggio a guardare se stessi e il mondo con occhio ironico, potrebbe esserci il pericolo che scappi una bella risata. D'altro canto non mi sembra neanche che socialmente sia una caratteristica così richiesta, la puzza sotto il naso, come se tutto il mondo, tranne noi, emanasse cattivo odore.

Le mie amiche parlavano del fare carriera all'università, è vero bisogna essere seri al confine del ridicolo per piacere e compiacere i colleghi, ma, per gli studenti? Chi sarà il docente che li condurrà al piacere dello studio? Quello con la toga nera dipinta fino ai piedi, cattedratico anche nel sonno o quello che si dimenticherà persino di se stesso per raccontare Catullo? Personalmente poi non ricordo di aver incontrato nessuna persona di grande valore che si prendesse in serietà. Anzi, non dimentico per esempio lo sguardo buffo di padre Agostino Gemelli quando si trattava di dare il suo biglietto da visita. Prima che il visitatore entrasse nel suo ufficio si informava dai segretari: "Quanto è stupido quello lì?". Se gli veniva detto che era molto stupido, subito preparava il biglietto con tutte le sue cariche ufficiali: trentacinque. Se l'interlocutore era stupido a metà c'era il biglietto con metà cariche. Ma poi ce n'era uno con una scritta sola: padre Agostino Gemelli, era per gli intelligenti.

Sono quelli che sanno di valere poco che hanno bisogno di riempirsi le tasche d'incenso. Sono quelli che arrivano alle alte sfere con mezzi diversi da quelli del merito che ricorrono al "lei non sa chi sono io". Sono soprattutto quelli che hanno paura, che non possono ridere. Sono il vigile, il carabiniere, il politico che fanno il muso duro ed esibiscono la divisa oil tesserino. A me è capitato recentemente con un medico, spaventato dalla sua impotenza diagnostica e terrorizzato di perdere la sua immagine sacra. "Professore, qui c'è un sospetto tumore", aveva la voce seria, ma seria davvero, le corde del collo ben gonfie. Un tacchino. Nonostante la situazione non fosse del tutto gradevole ho tentato: "Dottore, le spiacerebbe sospettare da solo e magari dirmelo solo a colpevole confermato?". Io ho sorriso, lui no. Ho sorriso ancora più sorridente quando il tumore non c'era. Lui è restato serio eguale, forse anche di più.


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