Peccati e Peccatori

I lamentosi

di Silvio Ceccato
parte seconda

La lagnanza, almeno per mia esperienza, non riguarda ciò che l’altra persona fa o non fa, ma la persona stessa, che, qualsiasi cosa faccia, per un motivo o l’altro, lascia insoddisfatti. Che fare?
Ecco, questo è proprio uno di quei casi in cui bisogna convincersi che non bisogna fare nulla. Ma astenersi non è facile, almeno finché non ci si convince che tanto non cambia nulla. Così come non possiamo intervenire a far smettere la pioggia.
Tutt’al più possiamo proteggerci dal bagnarci, cioè farsi le orecchie un po’ sorde e filar la pazienza. Siamo un po’ tutti affetti da quella patologia, così immaginificamente battezzata: il complesso di dio.
Vuol dire cioè il pensare che il nostro intervento o non intervento chissà quanto modificherà. Si pensi, a questo proposito, ai sensi di colpa che hanno le persone che sono vissute vicine a un suicida. Soprattutto nei primi mesi il senso di colpa non lascia respiro.
Se non avessi detto così o fatto cosà... Certo, non si può mai dire, ma perché non si può pensare che non tutto, e per fortuna, è nelle nostre mani?
Io insisto da sempre e tante volte l’ho ripetuto: bisognerebbe apprendere l’arte di fare sempre il possibile per sé e per gli altri, ma non pretendere l’impossibile.
Siamo a volte come quei ragazzini che a scuola pensano: se conto fino a cinque con un pugno chiuso, il professore non mi interrogherà.
Quali poteri sovrannaturali crediamo di avere! Ora, per tornare al nostro tipo lamentoso vorrei raccontarvi l’esperimento (ovviamente fallito) di un conoscente.
Stanco ed esasperato dalle continue lamentele di un collega con il quale divideva la stessa stanza d’ufficio, decise di registrarlo per mostrargli poi quanto potesse essere fastidioso.

Lo choc iniziale sembrò un successo. Il collega prima impallidì per farsi rosso-verde poi. Ma non erano ancora trascorsi quattro minuti dall’inizio della bobina che esplose: "Ecco, registrarmi di nascosto, qui non mi si riconosce neppure un diritto fondamentale della Costituzione: la libertà di espressione".
Si interruppe un attimo per ascoltare il seguito. Questa, volta resistette meno di due minuti, sorrise e prendendo spunto da una sua frase (di lamento ovviamente) disse: "Però avevo ragione, il ragionier Crippa è davvero un lavativo.
Se penso al lavoro che gli sbrigo io, intanto che lui si studia la “Gazzetta sportiva”... per non parlare dei capi che non vedono mai quando c’è da vedere... il fatto è che qui tutti mi sfruttano e... ". Etc., etc. Per non avere l’effetto d’eco del pianto greco occorse spegnere il registratore.
La lamentela che sembra all’inizio espressione di disagio è solo una necessità per l’autocompiacimento. Oh me poverino, oh me misero tapino, orfano. Se dunque vogliamo che a circondarci sia un mondo contento, lasciamo che la lamentela viva.
A parte che il sanarla è impossibile, anche se lo fosse, chi vuole essere così crudele da alleviare il dolore a un masochista?
Anzi, quando il senso di colpa comincia a prendere forma perché siamo bersaglio di un lamentoso, occorre pensare: anche oggi ho fatto la mia buona azione, gli ho dato occasione per lamentarsi.

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