Peccati e Peccatori
foto di Fernando Mattaboni

I lamentosi

di Silvio Ceccato

La lamentela che sembra all’inizio espressione di disagio è solo una necessità per l’autocompiacimento. Se dunque vogliamo che a circondarci sia un mondo contento, lasciamo che la lamentela viva.
Chi si impegna a vivere in letizia, generalmente desidera che anche gli altri siano contenti. Una sorta di ricerca dell’armonia, se vogliamo. O, per dirla con parole più pratiche, significa che se qualcuno ha un problema o un’infelicità il tentativo è di andargli incontro, di partecipare al malcontento per aiutare a dissiparlo.
Il figlio di un amico è in difficoltà, non riesce a trovare un impiego nonostante lunghe ricerche e tanta buona volontà. Fatti suoi? No, ci si fa in quattro per aiutarlo.
Si incrociano le conoscenze. Si tendono le orecchie. Si suggeriscono indirizzi. Fino alla raccomandazione. E quante cene e quante ore dedicate all’amica in panne amorosa.
Tanto più la richiesta d’aiuto è esplicita (o intuita) tanto più la disponibilità aumenta: come dire di no? Soldi, chilometri e tempo vengono messi a disposizione.
Senza rimpianto alcuno. Per fortuna, molto spesso, la nostra felicità si nutre anche della felicità altrui e si offusca delle tristezze vicine. È il nucleo della socialità.
Tuttavia, mi convinco sempre più che rispondere a certi SOS è pericoloso. Pericoloso quanto il buttarsi in una trappola di antifelicità. Non tanto per chi chiede aiuto, quanto per chi risponde.
In particolare mi riferisco al caso tanto diffuso dell’imbattersi in un lamentoso. Sconosciuto, o conosciuto che sia, il lamentoso sembra avere un fascino irresistibile per colui che vorrebbe tutti contenti.
Può essere la vecchia madre che vive da sola. All’offerta di venire ad abitare con noi, gli occhi le si velano: "Come, dovrei abbandonare la mia casa, e fare l’ospite? [sottinteso e neanche troppo: magari la serva!]. Tutto il mio mondo è qui. Etc.".
Bene, allora le si telefona tutti i giorni. Alla domanda: "Ciao, come va?", la risposta è scontata, da copione: "Male. Stanotte non ho dormito. Mi fa male la schiena. E poi sono sempre qui da sola. Non venite mai a trovarmi".
Quel “mai” in realtà corrisponde ad almeno dieci ore settimanali, rubate con fatica a impegni e tempo libero, ma si vede che la matematica è un’opinione! Se si è di tipologia generosa il tentativo diventa allora un fare di più, sempre di più.
Un di più che per l’altro sarà sempre fortemente insufficiente. Non c’è scampo. Mi racconta un amico: "Mia moglie si lamentava da anni perché stanca di accollarsi i lavori domestici. Un giorno sì e uno no la fatidica frase: “Ma, io, chi sono, la serva?”.
Capisco, non è certo gratificante strusciare pavimenti, rassettar letti e pentole. Così, alla prima occasione di aumento di stipendio, mi sono deciso, le ho offerto un aiuto domestico. Pensavo che tutto fosse a posto.
Macché, non sono passate quarantotto ore: “Tu hai deciso di sbarazzarti di me. Non vuoi più aver bisogno di me…”". Chiedete a un amico che ama viaggiare, e non è certo molto occupato, di accompagnarvi in qualche viaggio di lavoro.
Sì, sono faccende di lavoro, ma anche di festa, spesso con ottimi pranzi e fra gente di un certo valore. Dopo un po’ la protesta-lamento prende forma: "Quattro ore in treno! Stare in aeroporto!".
Ma qualsiasi cenno a non portarlo finisce in un "si vede che viaggi meglio senza di me".

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