Servizio Speciale
Parigi mon amour
Parte quarta ed ultima
L’esperienza accumulata negli anni trascorsi tra i fratelli separati gli aveva ispirato un netto rifiuto di ogni forma di integralismo. In una lettera indirizzata all’amico mons. Gustavo Testa si legge, a proposito delle critiche che gli mossero da Roma per aver presenziato al Sinodo degli ortodossi in Bulgaria: « Gli ortodossi credono al nostro stesso Dio, hanno i nostri stessi sacramenti, il loro sacerdozio è uguale al nostro, venerano la Madonna come noi.
L’unico punto in cui siamo divisi riguarda il primato del papato romano. Non capisco perché dovrei ignorarli. Il vangelo mi impone di amare anche i nemici, dovrei forse non amare e non mostrare il mio amore verso i fratelli ortodossi?».
Nel balzo repentino dalla povertà - materiale, non spirituale - del mondo ortodosso e islamico, alla dorata società parigina, Roncalli trasse suggestioni e lezioni che lo resero in grado di leggere con tanta chiarezza i «segni dei tempi».
Don Primo Mazzolari, appena Roncalli fu eletto papa, ravvisando in lui «l’operaio dell’ultima ora » - aveva settantasette anni quando fu chiamato a reggere il timone della Chiesa - fu profeta quando previde che l’anziano pontefice, avrebbe fatto tante cose in poco tempo.
Ciò che contribuirà, a torto o a ragione, a creare il «mito Roncalli», sono episodi marginali nella vita di un « operaio della prima ora » che sostenne tutto il peso della giornata, impegnato a dissodare terreni difficili.
Sono aneddoti, a volte fantasiosi, dice il suo segretario Loris Capovilla, che tuttavia gettano una luce di simpatia sul «buon pastore» capace di lasciare l’intero gregge per correre dietro alla pecorella smarrita.
La sua presenza nei saloni scintillanti di luci, a Parigi, fra i colleghi delle varie ambasciate accompagnati dalle consorti con abiti dalle ampie scollature, attirava la curiosità di molti che cercavano di indovinare dal suo volto i segni di un comprensibile disagio.
Ci fu uno che gli domandò se non fosse turbato alla vista di tanta ostentata nudità. «Non le guardo », rispose il Nunzio, «e neanche gli altri guardano queste signore, intenti come sono a osservare le reazioni del mio volto».
Le sue argute risposte gli aprirono ben presto un varco in un ambiente compassato qual è quello diplomatico.
Il suo fisico, alquanto appesantito, gli offrì il destro per rompere il ghiaccio anche con il gelido ambasciatore sovietico, Bogomolov, il quale durante un ricevimento a una ambasciata, se ne stava in disparte come «se avesse il mondo in gran dispetto».
Gli si avvicinò Roncalli e con la sua abituale bonomia, che toglieva a ogni espressione il sospetto di malizia o di offesa, gli disse: «Noi due militiamo in campi opposti ma abbiamo in comune una cosa », e lisciandosi la fascia violacea che gli cingeva i fianchi, soggiunse, «siamo tutti e due rotondetti».
La risata divertita di Bogomolov accorciò di molto le distanze fra i due. Anche agli altri ricevimenti non mancheranno mai di discorrere insieme, come vecchi amici. Nessuno poteva allora prevedere che si sarebbe aperto uno spiraglio di speranza nella funesta cortina di ferro che divideva il mondo in due schieramenti opposti e inconciliabili, perennemente l’un contro l’altro armati.
I messaggi augurali scambiati tra papa Giovanni e il presidente russo, Nikita Kruscev, con relativa visita del genero Adjubej in Vaticano, susciteranno un vespaio di critiche, ma la «politica» di Roncalli precedeva di gran lunga i tempi. Politica o sapienza? «Siamo tutti novizi», scrive papa Roncalli, «e impariamo un giorno dopo l’altro a lasciarci condurre dal Signore».

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