La Madonna nella letteratura italiana
La Madonna nei laudatari del Duecento
(terza puntata)
Regina "pietosa"
di Francesco di Ciaccia
Parte prima
Il termine “regina”, nel contesto storico del Duecento, non ha a che vedere con la regalità del potere assoluto: esso indica la superiorità della donna di corte che è al di sopra, sì, dell’uomo comune, ma perché sa comprendere i suoi “sudditi-amici”. Per questo la donna “cortese” è soprattutto regina “pietosa”.

Risale alla Patristica, poi ripresa dalla letteratura italiana con i grandi poeti del Trecento, la dottrina secondo cui la Madonna, grazie all’Incarnazione operatasi attraverso di lei, è diventata la donna della “riconciliazione del mondo” (sant’Anselmo).
Nelle laudes del Duecento il termine “regina” (“reina”) ha esattamente il significato patristico, nel senso di “donna di salvezza”, e non quello di signora che ha un regno. Quando Bonvesin da la Riva, nelle Laudes B. Mariae Virginis, accoglie il termine “regina” già introdotto dal laudario di Cortona, uno tra i più antichi del genere, specifica questa regalità nel senso di “dona dei angeli”, signora degli angeli, che rimanda alla concezione letteraria dell’eccellenza della donna in quanto esemplare di virtù e mezzo per pervenire ad essa.
Anche in questo caso, la Madonna lo è per antonomasia. Ma per capire bene il senso della regalità della donna sublime secondo la concezione dell’epoca, mi sembra il caso di vedere quello che poi ha scritto Dante Alighieri, il poeta che meglio di tutti ha cantato il valore della donna.

Lo si potrebbe trasferire, alla lettera, alla Madonna. Leggiamo dalla Vita Nuova:
“Vede perfettamente onne salute
chi la mia donna tra le donne vede;
quelle che vanno con lei son tenute
di bella grazia a Dio render merzede.
E sua bieltate è di tanta vertute,
che nulla invidia a l’altre ne procede,
anzi le face andar seco vestute
di gentilezza, d’amore e di fede.
La vista sua fa onne cosa umile;
e non fa sola sé parer piacente,
ma ciascuna per lei riceve onore.
Ed è ne li atti suoi tanto gentile,
che nessun la si può recare a mente
che non sospiri in dolcezza d’amore”.
Essere regina significa dunque essere “salute del mondo”, nel senso di ideale del bello e del buono; significa trasmettere agli altri la propria nobiltà: anche gli altri diventano belli e buoni! Non c’è alcun senso di inaccessibilità, di alterigia, di supremazia onnipotente, di potere sovrano: la donna-regina del Duecento è la donna che fa gentile e bello l’universo!
E così Bonvesin definisce la Madonna “soprana per beltae”, “plen d’onnia bontae”, al di sopra di “tute le vergene”, “magistra de cortesie e de grand humilitae”, “conforto e alegrezza” di ogni uomo, e la chiama “nostra donzella”, generatrice “de pietae”.

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