Dai Poeti alle Poesie
ANTONELLA ANEDDA
I poeti son come capre...
di Vittorio Cozzoli
Parte prima
Mi trovo a Roma, in casa di Antonella Anedda, la cui poesia sta ricevendo crescenti riconoscimenti. La mia prima impressione non è quella di trovarmi di fronte ad una letterata di successo, ma ad una donna di forte, inquieta umanità, di raffinata cultura e di umile ricerca di un senso più ultimo, che quieti le contraddizioni poste dall’esperienza del vivere. È sicuramente tra le voci più importanti della nuova poesia italiana. Mi colpisce un tratto di gentilezza che viene da lontano, da ascendenze anche medievali e non solo cristiane.
Per prima cosa - e così facendo apre una comunicazione per me particolarmente significativa - mi mostra un’icona russa, una “Madonna dalle tre mani”, che sente di dover mettere in relazione con la propria scrittura. Sono certo che sia nel giusto, sentendo questo. L’icona pone il nostro dialogo sul piano che più ci interessa: quello che mette in rapporto chi scrive col senso del proprio scrivere. E, per conseguenza, anche con quello del proprio farsi leggere, essendo la lettura il luogo della responsabilità della scrittura.
Antonella Anedda, in questo senso, vive questa responsabilità con fine coscienza, che la pone tra un sentimento di incertezza e un bisogno di ri-trovamento. Infatti, come ha scritto recentemente in una pagina del suo “La luce delle cose” (Feltrinelli): “Laggiù è l’enigma” e “la notte è la sua verità”: che va duramente riconquistata: “Forse nel deserto si vede ciò che si è perduto”: ecco, tutto questo mi dispone al dialogo, che ha come scopo quello di far parlare i poeti, in modo che la gente comprenda meglio la poesia: e questo senza dimenticare l’avvertimento di Cocteau: “La poesia non si legge, non si discute. Si intuisce”.
Quando comincio a dialogare coi poeti, per chiedere come si siano riconosciuti, parto da una richiesta: aiutarci a conoscere gli inizi della loro speciale vocazione verso la poesia prima e verso la scrittura poi. Così diamo inizio al nostro dialogo.
Cozzoli: Cosa è avvenuto ad Antonella Anedda? Come si sono manifestati questi inizi? Improvvisamente o progressivamente?.
Anedda: Alla lettura presto, alla scrittura tardi.Non credevo che quello che sentivo o mi chiamava sarebbe diventato scrittura.
Cozzoli: C’è stato qualcuno che è stato un punto di riferimento nei tempi iniziali?
Anedda: No, non c’è stata una persona in particolare. Avevo molto pudore di far leggere queste mie cose. Anche adesso non riesco a dire poesie. Però mi ricordo che c’è stato un momento,in cui ho scritto e ho detto:«Da qui posso iniziare a lavorare». Prima per me erano conati, tentativi.
Cozzoli: Io sono sempre curioso di sapere se in questo inizio c’era un istinto che indicasse anche un "verso dove", interno al muoversi della poesia. C’era in te coscienza di questo segreto camminare, come se si trattasse di qualcosa di presentito ma non ancora identificato?
Anedda: Credo che per tutti ci sia una parte che rimane oscura. Sì, c’era. . .ma non so se si può parlare di direzione, però la scrittura aveva una sua direzione di lavoro, di marcia. Ecco, io non scrivo per scrivere. Ad un certo punto della vita si può anche il verso a se stessi. Allora l’unica direzione è quella di cercare una direzione.

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