Editoriale
di P. Francesco Calloni
Missioni
in
svendita
Ultima parte
I Grandi Ordini (come Domenicani, Francescani, Gesuiti, Benedettini) hanno monasteri e conventi semivuoti; parecchie Provincie monastiche hanno già da anni chiuso il discorso missionario per mancanza di personale.
Ma lo Spirito Santo non dà le picconate solo per distruggere, ma anche per costruire.
Dalle macerie della missione sta nascendo la Chiesa locale che sempre più deve prendere coscienza che deve diventare autosufficente sia economicamente sia culturalmente sia religiosamente.
Non solo la Chiesa italiana o i cristiani d’Europa, ma anche le nuove Chiese africane devono diventare missionarie.
Si tratta di far ripetere la Pentecoste che come quella di Pietro dà la parola ai senza parola, ai senza voce.
Possano parlare con la loro lingua e non con quella forgiata dagli altri, possano parlare con le parole e le azioni, con la contemplazione e con la rivoluzione.
La Chiesa ha bisogno di tutte queste voci insieme per parlare di Cristo.
La voce che annuncia il Vangelo non è un canto fermo, ma una polifonìa. Non c’è una sola maniera di rendere testimonianza a Gesù Cristo.
Se ogni continente svlluppasse la riflessione teologica, utilizzando il proprio patrimonio culturale, in reciprocità con la riflessione degli altri, il mistero di Cristo risulterà più ampliato.
Volendo esprimere tutto quello che ho detto in parabola, si potrebbe modificare così quella evangelica: «Uscì il seminatore a seminare la parola.
Una parte cadde sopra l’Africa, un’altra sopra l’America; una parte cadde sopra il nord dell’Emisfero e una parte sopra il sud... Il seminatore dotò le diverse parole di un dinamismo di comunione e di reciprocità.
Il missionario aiuta le singole Chiese locali a prendere coscenza di questa loro parola e poi deve tornare a casa; perché le parole seminate si cercano per formare insieme la frase del regno.
Allora porteranno frutto: al trenta, al sessanta al cento per uno».

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