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I ruffiani |
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È ancora recente il volta e rivoltafaccia politico dal perbenismo postbellico alle licenze sessantottine, sino al riperbenismo yuppistico, e domani chissà.
Finché si sospettava che al potere dovessero andare popolo e fantasia, tutti in fabbrica con eskimo, capello lungo e vesti indiane made in Italy. Viva il sociale e il politico e naturalmente la Cina. Un accademico rinnegava la materia di cui deteneva la cattedra e dava trenta solo alla formula: la psicologia non esiste, è un'invenzione borghese. Poi venne lento, ma neanche troppo, il riflusso. Al potere erano rimasti i potenti, nelle scuole i vecchi insegnanti: via il tu, fuori il lei, con camicia, cravatta e parrucchiere. Si rovescia una valanga di sentimenti, emozioni, sensazioni: il sociologo butta la pelle maoista e indossa la gonna di Donna Letizia. Il clima è però ben temperato da tanto sport americaneggiante e buona cucina filogiapponese. Non occorrono anni e neanche mesi per far cambiare opinione al comico, che dopo feroci battute sulla non ancora consacrata Emittenza, vola ad ali spiegate alla prima chiamata. Purtroppo a volte lasservimento al potere si scontra con i doveri della giustizia: primari ospedalieri possono accusarsi a vicenda, e chissà chi ha ragione, ma ben pochi assistenti attaccherebbero il loro capo, anche conoscendone le nefandezze. Peggio ancora quando non si difende linnocente, nel dubbio che qualche sommo lo voglia colpevole: non è cosa di mafia, ma prassi quotidiana. E i bambini ci guardano. Già dallasilo imparano che la ragione è del più forte e che la giustizia è il favore dei potenti e il consenso dei più. Cè forse una parola da riproporre, la dignità, con la quale probabilmente sconfiggeremmo un altro grande, odioso peccato: la vigliaccheria. |
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