Peccati e peccatori

I ruffiani

di Silvio Ceccato
parte seconda

Oh, certo, ci sono in palio ricchi premi e non soltanto quelli ufficialmente letterari, ma per dirla ancora con l’Alfieri: "E perché dunque, abbisognando di pane, non vi desinaste voi da prima qualche opera servile di mano? Più certo era il pane; non era infame il mezzo; e non avreste così dovuto arrossire in riceverlo". Mi trovo completamente d’accordo, parole che potremmo ben sottoscrivere anche oggi, salvo, forse, "non avreste così dovuto arrossire...", mi sembra infatti che siano ben poche le guance rosse dei nostri intellettuali asserviti: spudoratezza? Abitudine millenaria? Pallore da vigliaccheria? Mah! La seconda consolazione è per così dire edificante. Anche qui si tratta comunque di munirsi di libri o di sforzare la memoria alla ricerca di esempi contrari. Il lavoro richiede pazienza, ma poi qualche nome appare nettamente: Socrate, Newton, Tommaso Moro... Fra esempi meno antichi: Montale, che non ha disdegnato un mestiere routinario a sostegno della libera professione di poeta. (Ma non per questo è disposto a farsi vile o servile. Sta parlando alla tristezza, ma sulla viltà ha qualcosa da dire: "… innanzi al brulichio dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io scenda senza viltà ").
Anzi, a un posto di lavoro aveva aspirato per anni, prima di entrare al Corriere, e una volta assunto l’aveva ancor più preso sul serio, proprio nei suoi aspetti maggiormente ripetitivi, ai quali non si sottrasse neppure con il passare degli anni e il crescere della fama. Anche per questo osò rimproverare la Callas che si era sottratta all’ultimo momento a una rappresentazione, e incolpava ancor più chi le stava attorno, cattivi consiglieri di una trasgressione a un impegno lavorativo più che all’arte. Libero pensatore rimase durante il fascismo, la guerra e ancora dopo. Osservò i cambiamenti ma non se ne lasciò affascinare.
Esiste anche una tipologia, forse di compromesso, quella per esempio di un Goya, che diventa sì ritrattista di corte, ma che dipinge la famiglia reale con la satira che ben conosciamo. Basti ricordare il ritratto della famiglia di Carlo IV, con la faccia avida della regina, quella stupida del re e con un principino, esatta copia del primo ministro. Il giudizio qui oscilla fra i due estremi, dallo sputare nel piatto in cui si mangia alla coraggiosa denuncia politica.
D’altronde, si tratta di comportamenti riconoscibili non solo nei grandi, ma anche in tutti noi, piccoli mortali.

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