Come giocano i bambini africani
Servizio speciale
testo di Giovanna Soldin

foto di Franco Merici


Essere bambini in Africa non è come esserlo in Europa. Fin dalla più tenera età ha inizio la “scuola della vita”: quel percorso non privo di difficoltà e di insidie e scandito dai riti di passaggio che conduce nel mondo degli adulti. Non c’è tempo da perdere.
Alle prime lezioni di vita il piccolo assiste “dall’alto”, come uno spettatore o un osservatore che, invece di sedere in un palco o in un osservatorio, se ne va in giro sulla schiena della madre. Osserva e impara. Impara a raccogliere la legna da ardere, a tirare su l’acqua dal pozzo, a coltivare la manioca e il riso, a contrattare le verdure al mercato... Osserva e impara.
Così, appena comincia a gattonare, unizia a ripetere quei gesti che ha visto fare dalla propria madre. Questi stessi gesti che ogni donna-madre ripete ogni giorno. Appena svezzato, il piccolo viene dato alle cure dei fratellini maggiori che, impegnati nel ruolo di vice-madri, s’ingegnano nella non sempre facile arte del “baby sitting”.
Qui fanno la loro apparizione i primi giocattoli inventati. Una scatola di conserva e una corda diventano la prima auto. Dal terzo-quarto anno di vita i bambini cominciano a formare dei piccoli gruppi e ad organizzarsi nel gioco.
Ma capita spesso di dover rinunciare al divertimento per aiutare i grandi. E quando capita, nessuno sbuffa, perché tutti i bambini aiutano i genitori, perché lo hanno sempre fatto, perché è normale che sia così.
Magari qualcuno si distrae e, mentre sta andando a prendere gli ortaggi per la zuppa, si sofferma con gli amici. Anche questo fa parte delle lezioni di vita! Ad un tratto scatta la molla...È semplicemente straordinaria la consapevolezza di questi “piccoli adulti”.

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