C'è giocattolo e giocattolo
Servizio speciale

 

Erikson (1950) osserva che "il piccolo docile mondo dei giocattoli è un porto che il bambino si costruisce per ritornarvi quando ha bisogno di rimettere in sesto il suo Io". Con i giocattoli infatti egli si crea un proprio ambiente vitale.
Va tuttavia sottolineato che non necessariamente il bambino per giocare ha bisogno di un vero e proprio giocattolo come abitualmente lo s’intende. Sappiamo che ogni oggetto può essere da lui trasformato in un giocattolo.

I primi giocattoli

In ogni epoca i bambini hanno utilizzato degli oggetti appositamente costruiti per giocare. Basti qui ricordare le bambole trovate nelle tombe di bambini morti migliaia di anni fa. Relativamente alla nostra cultura occidentale, ci si è resi conto dell’importanza dei giocattoli a partire soprattutto dal Rinascimento. Ma è nei secoli XIX e XX che si assiste al loro moltiplicarsi.
E ciò a seguito del fiorire di teorie filosofiche e pedagogiche che, per un verso, superano il concetto di bambino come un adulto in miniatura e, per un altro, propongono il gioco come un’attività essenziale per lo sviluppo della personalità. Entro questa prospettiva, i giocattoli vengono visti come estremamente utili per stimolare le attività sensomotorie, creative, di simbolizzazione, d’immaginazione e di socializzazione.
Come abbiamo accennato, all’inizio della vita i primi giocattoli sono il proprio corpo e il corpo materno. Molto presto il neonato usa le dita delle mani e poi dei piedi come suoi primi giocattoli. Più in generale, è tutto l’ambiente circostante ad essere trattato come un grande giocattolo. Nella nostra cultura tuttavia a questi “giocattoli” si affiancano subito giocattoli veri e propri, acquistati dai genitori o regalati dai parenti.
I giocattoli che il bambino soprattutto ama nella primissima infanzia sono quelli che gli permettono di riprodurre, attraverso la morbidezza e la cedevolezza del materiale, le gratificazioni provate nel contatto con il calore e la tenerezza della pelle della madre. È inoltre per lui esaltante lo scoprire che può giocare con i vari oggetti come vuole.
Ad esempio, si rende conto che con il sonaglio può produrre determinati effetti e che a una sua azione segue una determinata reazione. Per questa strada il bambino focalizza che con il gioco può modificare la realtà. Di conseguenza si sente potente. Un tipico esempio è il gioco del lasciar cadere un oggetto e aspettarsi che la madre lo raccolga e glielo restituisca, per poi lasciarlo cadere di nuovo e riavere la stessa risposta, e così via.
A questo riguardo Winnicott (1955, p. 314) scrive: "Questo gioco può incominciare verso i cinque mesi e resta un tratto normale fino, diciamo, ai dodici o diciotto mesi. Parliamo dunque di un bambino che ha sviluppato questo gioco fino a farlo diventare un’arte raffinata; un bambino diciamo, di nove mesi (vedi Freud, 1920)".
Una simile attività ludica ha in sé una forte valenza emotiva. Il bambino con il “lasciar cadere” rappresenta le prime dolorose esperienze di separazione dal seno materno dovute allo svezzamento e con il “riavere” sperimenta invece la gioia del ritrovamento e della riunione.
Precursore del “lasciar cadere”, è il gioco del chiudere gli occhi o volta-re la testa da un’altra parte per far comparire le cose.
Con questo comportamento il bambino elabora la distinzione tra il me e non me. Un altro gioco del primo anno è quello di spingere gli oggetti dentro un foro, batterli l’uno contro l’altro, metterli uno sopra l’altro.


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