Vangeli di un prete di campagna

Una riflessione sui vangeli delle Messe, fatta da un prete che conosce bene i vizi e le virtù della sua gente.
parte terza

TERZA DOMENICA DI QUARESIMA

(26 marzo) rito ambrosiano

Ti hanno diagnosticato una malattia grave, corri in chiesa per fare una novena; io invece mi farei visitare da qualche altro specialista. C'è aria di crisi nella azienda dove lavori e incominci a pregare il Signore perché non tocchi proprio a te finire in cassa integrazione; io invece mi darei da fare per cercare altrove un posto più sicuro. Tua nuora sembra avere strani progetti in testa e ti sei messa a recitare il rosario per lei tutti i giorni; io invece l'affronterei faccia a faccia dicendole che si sta comportando come una bambina capricciosa. Sono modi diversi di sentire la presenza di Dio nella propria vita: qual è quello giusto? Anche il lungo brano di Vangelo di questa domenica ci presenta due modi di fare riferimento a Dio. Da una parte c'è la mentalità del gruppo di Giudei che, più o meno, ragionano così: noi con Dio siamo perfettamente in regola e non abbiamo bisogno che egli intervenga nella nostra vita per cambiarla. Il fatto stesso di appartenere al popolo che discende da Abramo è garanzia più che sufficiente per essere tranquilli.

Noi poi sappiamo dov'è il bene e dov'è il male; nessuno ha diritto di indagare sui sentimenti e sui desideri che abbiamo dentro: questa è zona strettamente personale. La prova che siamo a posto con Dio è che tutto nella vita ci va bene. Noi infatti siamo gli eredi delle promesse che Dio ha fatto al nostro antenato. Se gli affari rendono, se la salute è buona, se la gente ci invidia, significa che siamo benedetti da Dio. E se Dio ci benedice vuol dire che siamo bravi. E se siamo bravi perché dovremmo ascoltare chi ci parla di perdono dei peccati, di cambiamento di vita, di libertà da ricevere come dono? "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?". Un atteggiamento simile può essere presente in noi quando in un modo o in un altro ci autoassolviamo, ossia quando pensiamo: In questo settore della vita senz'altro mi comporto bene, perché sono affari miei quello che desidero o quello che scelgo; non capisco perché debba chiedere perdono a Dio come se avessi fatto chissà quale male. In quest'altro settore, sì c'è qualche cosa che non funziona, ma, in fondo, agisco come fanno tutti; non capisco perché debba chiedere perdono a Dio come se io fossi peggiore degli altri.

Forse alcuni comportamenti sono anche sbagliati, ma non ho danneggiato nessuno; non capisco perché debba ricorrere ai sacramenti della chiesa per essere perdonato. Dio sa che sono un cristiano e che credo in lui. Questo è sufficiente perché possa andare avanti tranquillo. Se poi mi capita di fare la comunione, metto un bel timbro di approvazione sulla bonta della mia condotta. Così ragioniamo quando ci autoassolviamo, ossia quando decidiamo noi di essere a posto con Dio. Gesù presenta un altro modo di fare riferimento a Dio: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo". Abramo viene presentato dalla Bibbia come colui che ha creduto in Dio, che si è fidato di Dio completamente. Si è fidato di Dio quando Dio gli ha chiesto di lasciare quelle sicurezze che la sua terra, il suo ambiente gli davano per andare verso una terra nuova: "Lascia la tua terra, la tua tribù, la famiglia di tuo padre e va' nella terra che io ti indicherò".

Si è fidato di Dio quando gli ha promesso un figlio nonostante le poche speranze umane che potesse avere. Leggiamo nella Bibbia che il Signore condusse Abramo all'aperto e gli disse: "Contempla il cielo e conta le stelle, se le puoi contare. I tuoi discendenti saranno altrettanto numerosi. E Abramo ebbe fiducia nel Signore e per questo il Signore lo considerò giusto". Si è fidato di Dio anche quando ha creduto che Dio gli chiedesse di sacrificare il suo unico figlio Isacco. Leggiamo nella Bibbia che Abramo si sentì dire: "Ora ho la prova che tu obbedisci a Dio perché non gli hai risparmiato il tuo unico figlio". Dunque l'atteggi amento giusto nei confronti di Dio è quello della fede: mi fido dite, della tua parola, dei tuoi progetti, del tuo amore che perdona e salva. Chi meglio di tutti ha vissuto la fiducia in Dio è Gesù Cristo. Le parole che egli dice mentre muore in croce ne sono un segno. "Padre perdona loro,perché non sanno quello che fanno. Perdonare è un gesto di fiducia in Dio come il mantenere un rancore equivale a mettersi al centro di tutto. E poi: "Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito". Anche noi, in un certo senso, consegnamo la nostra vita nelle mani del Padre quando ci rivolgiamo a lui riconoscendo i nostri sbagli e i nostri peccati, quando facciamo un atto di fede nel suo amore misericordioso chiedendo il suo perdono.


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