Tanto, tanto tempo fa, quando questo immenso baobab sotto cui sediamo non era ancora nato, un re aveva una bellissima figlia che amava più della sua vita.
Quando la fanciulla crebbe, diventò più bella della luna che spunta tra i mosi oa tuna (il fumo che tuona, le cascate Vittoria, n.d.r.). Allora suo padre decise che solo un uomo eccezionale avrebbe sposato questa bellezza fuori dal comune.
E decretò: "Darò mia figlia in sposa a colui che ha il fuoco nelle ossa ed a nessun altro!".
Si presentarono molti giovani che pensavano che il re volesse con le sue parole indicare un uomo dotato di particolari forza ed energia. Ma il re li rimandò a casa: il fuoco che lui intendeva era veramente il fuoco, quello che brucia gli alberi e abbatte le capanne in poco tempo.
Un giorno, scese dalle montagne un giovane che si presentò a corte e disse che voleva sposare la figlia del re.
Il sovrano lo squadrò dall'alto del suo trono e gli chiese: "Davvero hai il fuoco nelle ossa?".
Il giovane disse: "Guarda mio re!". E piegò le braccia e dai gomiti sprizzarono fuoco e fiamme. Poi piegò le gambe e dalle ginocchia uscirono fumo e grandi scintille.
Allora il re mantenne la promessa e diede la figlia in sposa all'uomo che aveva il fuoco nelle ossa.
Quando il sovrano morì, il giovane che aveva il fuoco nelle ossa venne acclamato re. Ma la moglie del vecchio re era gelosa di sua figlia e del nuovo re e tramò per ucciderlo. Così gli inviò a corte la sua figlia minore, bella, giovane e sensuale come una gazzella in amore. La quale sculettando e ancheggiando fece impazzire di desiderio il nuovo re.
Così il nuovo re la sposò il giorno dopo, fecero una grande festa e quindi finalmente giacque con lei. Quando il re si addormentò, nel buio della notte i fuochi si erano spenti e tutti dormivano pieni di cibo e di vino e di canzoni.
Proprio prima che cantasse il gallo, la nuova moglie strangolò il suo sposo con una corda che aveva nascosto sotto la gonna. Il re che aveva il fuoco nelle ossa morì senza nemmeno rendersene conto. Ma dalle ginocchia e dai gomiti del corpo ormai freddo si levò un forte vento, che sollevò un gran polverone che coprì le impronte lasciate sul terreno dal re morto.
Poi, dopo il vento, uscirono tantissimi uccelli, che oscurarono il sole e fecero vibrare le foglie degli alberi con il loro battito d'ali.
Infine, le bestiole alate volarono lontano oltre le nubi e si diffusero sopra le savane, le foreste, le montagne, i laghi e i fiumi e passarono trillando il mare (l'Oceano Indiano) su cui navigano i dhows (sambuchi) venuti dall'Oriente.
E il cielo ne fu tanto felice che sorrise ed aprì le labbra, creando un grande arcobaleno scintillante.
Da allora l'uomo fu più contento di vivere.
Perché quando essi cantano e cinguettano oppure confabulano a migliaia, parlando tutti insieme riuniti in assemblea sui rami dei saggi vecchi alberi, anche i poveri possono sentire la musica del canto degli uccelli. E in quel momento perfino il cuore dei miseri, appesantito dalla fame e dalla povertà, riesce a prendere il volo, sia pure per poco.
E il Creatore sorride tra le nuvole, convinto di avere fatto una cosa buona, quando vede le sue creature alate tuffarsi verso il sole rosso, piene di gioia e di letizia.